L’ Eye Movement Desensitization and Reprocessing (E.M.D.R.) è un approccio psicoterapeutico che facilita la risoluzione dei sintomi e del disagio emotivo legati a
esperienze di vita traumatiche o a esperienze più comuni, ma emotivamente stressanti. Gli aspetti notevoli dell’EMDR sono la rapidità di intervento, la sua efficacia e la sua possibilità di applicazione a persone di qualunque età, compresi i bambini.
Scoperto nel 1989 dalla psicologa americana Francine Shapiro, è stato utilizzato in origine per alleviare lo stress associato ai ricordi traumatici dei reduci
della guerra in Vietnam, allargando successivamente il suo campo di applicazione ad un’ampia gamma di disturbi clinici. La continua evoluzione dell’EMDR da semplice
tecnica a metodologia psicoterapeutica complessa si basa in larga parte sulla ricerca empirica e sull’osservazione clinica. Questo approccio ha infatti ricevuto negli anni
abbondanti supporti clinici coinvolgendo psicoterapeuti e ricercatori della salute mentale e neurofisiologi, che hanno portato ad estendere l’ applicazione dell’EMDR a tutte le psicopatologie che hanno come natura memorie disfunzionali e disturbanti.
L’EMDR è inoltre un approccio che integra le conoscenze che provengono dai vari orientamenti psicoterapici (psicodinamici, cognitivo-comportamentali e sistemico
relazionali) e le arricchisce e vivifica attraverso il rapporto costante con la scienza e la ricerca.
L’obiettivo del trattamento EMDR è la rielaborazione delle memorie patogene, metabolizzando i residui disfunzionali che provengono da esperienze avverse del passato e cambiandone la forma e il significato. La persona impara a riconoscere gli elementi necessari ed utili della propria esperienza passata, che viene re-immagazzinata in memoria in forma adattiva, sana e non più stressante.
La terapia EMDR ha una metodologia complessa e articolata che si avvale di molte componenti tra cui le stimolazioni bilaterali (principalmente movimenti oculari) che danno il nome alla terapia.
L’EMDR ha come base teorica il modello dell’Elaborazione Adattiva dell’Informazione (AIP) che fu sviluppato per spiegare la rapidità con la quale vengono raggiunti risultati clinici con l’EMDR. Il modello postula l’esistenza nel
nostro cervello di un Sistema Innato di Elaborazione delle Informazioni e il fatto che le psicopatologie si sviluppino a causa di un blocco o disfunzionamento di questo
meccanismo. Perciò se si accede al ricordo patogeno e si attiva il sistema, l’informazione viene portata ad una risoluzione adattiva, come si ritiene che avvenga in una seduta di EMDR.
Il modello è rivolto alla maggior parte delle patologie causate da esperienze di vita avverse, in particolar modo quelle in età evolutiva, che hanno attivato un insieme di
emozioni, comportamenti, cognizioni e strutture di identità che persistono nel tempo, la cui struttura patologica è insita nell’informazione statica non sufficientemente elaborata, immagazzinata e non più modificata dall’epoca in cui si
è verificato l evento.
L’EMDR è il trattamento evidence-based per il DSPT (Disturbo da Stress Post Traumatico), validato da più ricerche e pubblicazioni di qualunque altra psicoterapia
nel campo del trauma. E’ approvato, tra gli altri, dall’American Psychological Association (1998-2002), dall’American Psychiatric Association (2004), dall’International Society for Traumatic Stress Studies (2010), dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2013 e dal nostro Ministero della salute nel 2003.
Negli ultimi 20 anni ci sono stati più studi e ricerche scientifiche sull’EMDR che su qualsiasi altro metodo usato per il trattamento del trauma e per gli effetti
psicopatologici di esperienze/eventi stressanti che hanno danneggiato il senso di sé di una persona.
I risultati di questi lavori hanno portato questo metodo terapeutico ad aprire una nuova dimensione nella psicoterapia. In particolare, un filone di studi neurofisiologici randomizzati controllati condotti su
pazienti e documentati sulle principali pubblicazioni scientifiche ha iniziato a chiarire quali siano le basi neurobiologiche e i meccanismi d’azione dell’EMDR, studi
che trovano nel neuroscienziato Marco Pagani del CNR di Roma un esponente di punta (M. Pagani et al. 2007,2011,2012, 2013, 2015, 2019).
I dati e i risultati degli studi con neuroimmagini durante e dopo le sedute EMDR correlati con gli studi sulla fisiologia e patofisiologia della memoria e del sonno stanno facendo emergere i dati più interessanti. Si è rilevato che durante le sessioni di EMDR la traccia della memoria patologica rimasta confinata nelle aree limbiche del cervello (regioni sottocorticali dove sono trattenute le memorie con carica
emotiva), viene depotenziata tramite la stimolazione bilaterale che riproduce ripetutamente le condizioni neurofisiologiche favorevoli per il suo trasferimento alla
neocorteccia, condizioni che appaiono simili a quelle del sonno ad onde lente (N-REM) dove naturalmente questo avviene. La memoria trasferita viene poi integrata nelle aree della neocorteccia associativa, come avviene nel sonno Rem dove l’informazione viene consolidata, producendo un apprendimento adattivo dell’evento (formazione di memoria non patologica).
Altri aspetti si pensa concorrano alla spiegazione del funzionamento dell’EMDR. E’ stato evidenziato che i movimenti oculari producono nella persona una risposta di
orientamento che interferirebbe con l’attivazione neurofisiologica automatica prodotta dal ricordo patogeno, favorendone la rielaborazione. Un′altra spiegazione
si concentra sul fatto che nella procedura EMDR si richiede alla persona di porre contemporaneamente l’attenzione sul ricordo disturbante e sulla stimolazione bilaterale, producendo una competizione tra i due compiti attentivi che, data la limitata capacità della memoria di lavoro, contribuirebbe a diminuire l’intensità e la vividezza della memoria patogena, facilitandone il processo di rielaborazione.
La seduta EMDR si focalizza sui ricordi dell’esperienza/e traumatiche, che hanno contribuito a sviluppare la patologia o il disagio manifestati dalla persona che
richiede l’intervento psicoterapeutico. A tal fine viene raccolta la storia del paziente e vengono identificati gli eventi che hanno contribuito a sviluppare il problema
attuale che saranno gli oggetti della rielaborazione. Vengono inoltre identificate e rafforzate le risorse del paziente e introdotti strumenti di stabilizzazione emotiva.
La rielaborazione di un ricordo patogeno può richiedere una o più sedute, al termine delle quali il ricordo risulta sostanzialmente modificato, il paziente ricorda ancora l’evento ma adesso fa parte del passato ed è integrato in una prospettiva adulta, non è più disturbante e ha prodotto delle nuove informazioni utili per affrontare in
modo adattivo il presente.